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Descrizione

Gli investimenti produttivi della comunità consistevano nelle grandi opere di bonifica del territorio attraverso il rettilineamento dei fiumi Po e Pellice, nella derivazione dei canali ("bialere") e costruzione delle "balconere" cioè paratie per regolare il deflusso delle acque. La spesa per tali opere era sostenuta anticipatamente dalla comunità che la ripartiva in seguito sui "particolari" contribuenti in proporzione al vantaggio che ne ritraevano i loro beni.
Data la difficoltà di valutare tale vantaggio, si ricorreva alla perizia di un ingegnere che stilava un "piano di riparto". Si vedrà in seguito come il recupero delle somme anticipate richiedesse molto tempo per i continui ricorsi inoltrati dai contribuenti. La difficoltà maggiore si incontrava tuttavia nel far partecipare alla spesa i proprietari di beni portanti l'immunità fiscale.
Lo scavo dei maceratoi da canapa costituì un altro investimento fatto però dal singolo particolare cui era stata assegnata a tal fine una quota di pascolo comune.
Altro investimento privato erano i "fornelletti" per la trattura della seta, di cui si ha notizia in occasione di visite fatte per accertare l'osservanza di norme di sicurezza. Essi erano infatti poco più che capanne con il tetto di paglia.
Il rettilineamento del corso dei fiumi era un'opera di infrastruttura che mirava a correggerne le tortuosità per evitare i grossi danni derivanti dalle erosioni del suolo agrario e dalle inondazioni.
Infatti nel territorio tra Pancalieri e Villafranca il torrente Pellice confluisce nel fiume Po. Per la presenza di molte anse nei due fiumi gli argini non riuscivano a contenere il grosso apporto durante le piene. Queste opere avevano un grande interesse anche per lo Stato perchè favorivano la navigabilità del Po. La via fluviale era infatti utilizzata nel trasporto del sale, imbarcato a Villafranca per Torino, delle derrate (grani, vini, farine ecc...) specie durante le epidemie, per la chiusura delle terre, e le guerre, per il pericolo di requisizioni nemiche. Lo Stato tuttavia non interveniva in tali spese, ma si limitava a svolgere un'azione di controllo attraverso la Magistratura delle acque, delegando i tecnici necessari, ingegneri ed architetti, a spese però della comunità.
Negli anni 1746-72 vennero eseguiti ripetuti censimenti delle barche e dei barcaioli esistenti nei vari porti sul Po e fatte visite e progetti per favorire la navigabilità del fiume. L'interesse dello Stato non era tuttavia di natura economica, ma puramente militare.
Un "taglio del Pellice" fu eseguito nel 1596 venne autorizzato con sentenza del "Magistrato delle acque" previo accordo con il Feudatario e con la comunità di Villafranca. Il progetto di "drizzatura e diversione"fu disegnato dall'ingegnere, delegato ducale, Alessandro Thesauro. Sorsero tuttavia delle divergenze con la comunità di Villafranca sul punto ove doveva essere iniziato lo scavo secondo le indicazioni del progetto. Si decise allora di continuarlo dove era già stato iniziato in base all'accordo preso precedentemente tra Villafranca ed il Feudatario di Pancalieri. Tale scavo fu eseguito in un campo di proprietà del Feudatario che lo vendette alla comunità per 1200 fiorini. Il lavoro fu compiuto in economia con una "roida generale et ogni cappo di casa mand(asse) un manovale sotto pena alli contravventori di fiorini 4, la metà al fisco et il resto alla comunità per metter un lavorante".
Un importante rettilineamento del corso del Po venne eseguito nel 1616 (da Pancalieri, Faule e Polonghera) su progetto dell'architetto Carlo di Castellamonte, delegato ducale. I lavori a Pancalieri furono eseguiti in economia e la comunità fu esentata, in parte, dall'arruolamento della milizia paesana per poter disporre dei manovali necessari a tale impresa. Le fu addossata, dal "Magistrato Conservatore delle Acque", una quota contributiva al rettilineamento fatto eseguire da Faule e Polonghera di 3400 fiorini che la comunità chiese di pagare con prestazioni d'opera e materiali (legna per le palificate, non avendo i mezzi monetari necessari, andati esauriti nelle contribuzioni di guerra. Di questo lavoro sono rimaste soltanto notizie frammentarie, tuttavia esso dovette richiedere un certo impegno di progettazione e di calcolo, ritenuto, per altro, inutile dall'opinione popolare.
Una piena del fiume travolgeva nel mese di maggio le dighe ("fiché") fatte con pali e terra provocando l'inondazione del territorio circostante. Per eseguire le riparazioni agli argini fu necessario impiegare molti manovali pagati dai "capi di casa" che lamentavano di non avere soldi sufficienti.
Nel 1676 venne effettuato un nuovo "taglio del Po" nella regione "Po secco e campi de' Simondi"su progetto dell'ingegnere, delegato ducale, Rocco Antonio Rubatto. L'ingegnere procedeva alla visita sul luogo accompagnato da un agrimensore per la rilevazione delle misure (lunghezza del "taglio" da effettuare, profondità dell'alveo ecc...). Procedeva quindi alla formazione di un "tipo" contenente il progetto del lavoro da eseguire accompagnato da un preventivo di spesa. I lavori erano seguiti da "persona pratica", in genere un "agrimensore" nominato dalla comunità. L'esecuzione dell'opera fu affidata ad un impresario presso il quale lavorarono 17 particolari di Pancalieri come manovali addetti allo scavo.
Il "Magistrato conservatore delle acque" ordinò di ripartire la spesa di 6000 lire attraverso una imposizione personale. La comunità tuttavia chiese ed ottenne la ripartizione su base reale per far partecipare i proprietari forestieri residenti a Faule, Carignano, Osasio e Torino che possedevano "1/3 del Registro" e che altrimenti sarebbero sfuggiti alla tassazione. La spesa veniva pertanto inserita nel causato, ma poichè l'impresario sollecitava un acconto di 2000 lire, venne contratto un prestito.
Ai particolari che avevano lavorato nello scavo venne sospeso il pagamento del salario con promessa di compensarlo all'atto della riscossione della taglia "acciò la comunità non ve(nisse) astretta a impremudar maggior somma in prestito e gravata da eccessivi interessi".
L'incaricato della comunità a seguire lo svolgimento dei lavori segnalò con troppo ritardo, che la diga non era stata costruita secondo il progetto dell'ingegnere Rubatto.
Il 4 giugno i sindaci riferirono in consiglio che: "...(omissis) gli impresari della cava hanno, contro l'instruzione e ordine dell'ingegnere Rubati, sbocato il fiume Po a segno che la corrente d'esso s'è introdotta nel nuovo alveo e cava fatta per la diversione di esso fiume e la crescenza d'esso ha asportato la spalla dell'imboccatura di detto nuovo alveo in grave pregiudizio di questo pubblico atteso che sendosi inoltrato il fiume in esso ha trasportato quantità di giara e sabbia che ha innalzato il fondo di esso conforme al disegno livello e istruzione fatta da detto ingegnere che in occasione di maggior crescenza - eziando collaudata l'opera - quella sormonterà i ripari e le ripe di esso che non si potrà trattenere che quello non s'inoltri nell'alveo vecchio e suo letto antico in grandissimo pregiudizio del Real Servizio e di questo pubblico (omissis)...".
Era quindi necessario abbassare il nuovo alveo ed accertare inoltre se le palificate della diga erano di minor lunghezza rispetto a quanto prevedeva il progetto. Si ordinava pertanto la visita dei lavori per ottenere una prova legale ("testimoniali") da presentare nell'eventuale ricorso alla Camera Ducale al fine di liberare la comunità da ogni possibile responsabilità. Nel settembre una nuova inondazione provocava un'altra rottura della diga.
Per sostenere la diga e gli argini dell'alveo vecchio e di quello nuovo se ne favoriva il rimboschimento col bandire agli abitanti di tagliare salici ("gorini") e fare fascine. Negli anni 1730 e 1739 furono fatti costruire degli speroni per rinforzare gli argini del Po sulla parte sinistra ed impedire la erosione dei terreni nelle regioni del "Giarone, Simondi, Vignoli e Po secco".
Furono riscostruiti nel 1742-43 con una spesa valutata intorno alle 8500 lire. Nel '47 un perito chiamato a visitarli suggeriva la necessità di porvi dei ripari per evitare che venissero asportati in caso di piena. La comunità chiedeva pertanto al feudatario del luogo ed al Commendatore della Commenda locale dell'Ordine di Malta di voler partecipare alla spesa. Il riparo delle 8500 lire tra i maggiori beneficiari dei precedenti lavori di arginatura non era ancora stato effettuato. Il concorso del feudatario si giustificava, secondo la comunità, "... non tanto per ragione de' beni che possede in detta parte per ragione delle decime che esige in questo luogo, del grano, canapa e vino e della giurisdizione ...".
Due "tagli" erano inoltre previsti al torrente Pellice nella regione Martina e al fiume Po nella regione della Benna per esserne già stata ordinata l'esecuzione negli anni precedenti da due successivi Intendenti.
Anche la semplice esecuzione di ripari ad opere già costruite era subordinata all'approvazione dei competenti uffici di Stato che la concedevano se ritenevano che non ostacolasse la navigazione fluviale. "L'iter" burocratico era piuttosto lungo quando l'opera era tale da superare la competenza dell'Intendente provinciale (funzionario amministrativo-finanziario).
Nel 1749 l'Intendente della provincia di Pinerolo (da cui dipendeva Pancalieri), in seguito a visita sul luogo, ordinava il rettilineamento del torrente Pellice nella regione "Martina e bosco del Marchese (di Pancalieri)" verso Villafranca ed il rettilineamento del fiume Po nella regione della "Brayda" verso Faule e Casalgrasso. Il progetto per i due "tagli" era eseguito dall'ingegnere delegato dal Re con L.P. 20 giugno 1749, Giuseppe Castelli. Egli procedeva alla formazione e disegno del progetto, al calcolo del preventivo di spesa ed alla valutazione dei terreni da espropriarsi per indennizzare i proprietari.
L'Intendente ordinava alla comunità di costituire un fondo di almeno 4000 lire prima di dare il via ai lavori. Poichè essa non possedeva i mezzi sufficienti si decideva di alienare una parte del bosco comune esistente nelle regioni "Martina, Po secco e Goretti" per un ammontare di 20:46:8 giornate. L'Intendente autorizzava tale vendita da farsi mediante pubblica licitazione. Pietro Antonio Caligaris, di Gabriele (il futuro costruttore della filanda) chiedeva che venisse messo in vendita in un corpo solo anzichè in "10 pezze". Altrimenti, si offriva di acquistarne 8.
Altre spese occorse sostenere per lavori di rafforzamento degli argini resisi necessari in occasione di una paurosa piena tra ottobre e novembre 1751. Nel febbraio del 1752 si appaltava pertanto l'impresa della costruzione di 4 nuovi "speroni" per sostenere gli argini corrosi, su progetto dell'ingegnere Buniva. Questi lavori, definiti "ripari del Po", seguivano a tutta una serie analoga iniziata nel 1741 per una spesa complessiva di 10153 lire sostenuta interamente dalla comunità senza che si fosse proceduto ad alcun riparto tra i particolari in proporzione al vantaggio che ne avevano ritratto.
Il 25 marzo 1753 l'ingegnere Castelli poneva i picchetti sul luogo prescelto per definire il tracciato ed i livelli degli scavi dei nuovi alvei del Po e del Pellice e delle rispettive dighe. Nella proprietà degli eredi Feraudi il tracciato fu delineato dall'ingegnere Bussi seguendo il progetto disegnato dall'ingegnere Morari su parere dell'ingegnere Bertola, per ordine dato dal "Senato" nella sentenza della causa contro detti eredi. L'esecuzione dell'opera fu appaltata a due impresari di Vigone (Porello e Trosso) per la somma di 5800 lire da pagarsi in tre rate, con il procedere dei lavori. Nel 1754 sorgeva una nuova vertenza con gli eredi Feraudi che, allegando ragioni di sicurezza chiedevano la demolizione della diga costruita per chiudere l'alveo vecchio del Po perchè non era stato ultimato perfettamente lo scavo previsto nei "tipi" Bussi e Morari con asportazione "delle ceppe" degli alberi tagliati. Giungeva pertanto una ordinanza del "Senato" che imponeva l'abbattimento della diga già costruita. La comunità per ricorrere contro tale ordinanza chiedeva una perizia di ben 3 ingegneri, Buniva, Gariglietti e Rocca con una spesa di circa 700 lire.
La diga veniva comunque abbattuta per 5 o 6 "trabucchi" nel corso di una piena verificatasi verso la metà di maggio. La comunità ne riteneva responsabili gli impresari che accusava di inadempienza contrattuale per non aver terminato i lavori in tempo utile.
Finalmente nel 1755 una Ordinanza del "Senato" incaricava l'ingegnere Vittone di procedere alla misurazione e collaudo delle opere fatte al Po ed al Pellice in contraddittorio agli impresari ed ingegneri che avevano tracciato i lavori e stabilito i livelli ed ai rappresentanti della comunità. Nel '55 si procedeva quindi, insieme alla comunità di Villafranca, ad un secondo rettilineamento del Pellice su progetto dell'ingegnere Rocca. L'opera venne nuovamente appaltata all'impresario Porello di Vigone con una spesa di 1324 lire. Infine nell'aprile del 1757 venne eseguito un terzo "taglio" del Pellice, collaudato una prima volta nel mese di maggio ed una seconda in giugno dall'ingegnere Morari.
Nonostante le precedenti opere di rettilineamento, che furono forse le più importanti tra quelle compiute dalla comunità, ben due inondazioni nel mese di maggio vennero a compromettere l'efficacia provocando gravi erosioni della superficie agraria. Diverse giornate di terreno produttivo furono cancellate dal catasto perchè ridotte a "nude giare".
L'esecuzione pratica di tali lavori di rettilineamento consisteva nello scavo del nuovo alveo, secondo le misure di profondità, larghezza ed inclinazione calcolate dall'ingegnere progettante. Questa operazione richiedeva un enorme movimento di terra e quindi un grosso impiego di forza lavoro umana ed animale. Si procedeva quindi alla formazione di una o più dighe per chiudere il vecchio alveo. Le dighe erano costruite con più corsi di pali (per lo più di salici e di pioppi) disposti parallelamente e della lunghezza prevista nel progetto. Essi venivano "ingiarati", cioè tenuti assieme da terra e pietrisco. Si "imboschivano" quindi con fascine e terra che dovevano servire per frenare la corrente e creare dei "punti morti", onde evitare la corrosione.
Anche gli "speroni o balboli" si costruivano con palificate, terra e fascine e dovevano servire a rinforzare gli argini. Essi erano modestamente efficaci e potevano anche essere di ostacolo alla navigazione; la soluzione migliore per mettere sotto controllo il corso d'acqua era il rettilineamento.
Tra il 1738 ed il 1766 la comunità fu quindi impegata in un continuo enorme sforzo di sistemazione delle acque con una spesa di ben 52724 lire, secondo la valutazione dell'Intendente: "... (omissis) ed in questa comunità egualmente che in tutte le altre della provincia . . . (omissis) mai si è curato in simili casi concorso de' interessati per la difesa de' loro beni pericolanti". La spesa fu quindi sostenuta dalla comunità e dai particolari in proporzione alla proprietà posseduta e non già al maggiore o minore vantaggio derivante da tali opere.
Un "taglio ragguardevole in allineamento del fiume" veniva proposto dall'Intendente nel 1766 con una spesa preventivata in 44200 lire di cui circa la metà a carico di Pancalieri ed il rimanente a carico di Faule e Polonghera. Sarebbe stato vantaggioso per la navigazione ed avrebbe consentito il recupero di un vasto terreno riducibile a coltura. Esso pur essendo stato concesso con R.P. 19 febbraio 1782 non venne eseguito per l'opposizione del marchese di Caraglio nei cui beni feudali doveva decorrere il nuovo alveo.
L'architetto Ferroglio, perito d'ufficio, propose un progetto di rettilineamento diverso da quello dell'architetto Perini, incaricato dalla comunità. Essa lo ritenne pregiudizievole ai suoi interessi per cui ne sospese l'esecuzione. Un nuovo progetto fu fatto eseguire nel 1800 dall'architetto Castellano, ma non ebbe seguito per varie opposizioni.
Nel 1815, la comunità in seguito a supplica, ottenne una nuova concessione.
"...(omissis) la comunità ... (omissis) rappresenta che quel luogo e territorio soffre dal fiume Po continuamente da anni 50 e più delle enormi corrosioni e devastamenti delle sue campagne e feudi della migliore qualità ... (omissis) e corrodendo alla sponda sinistra le migliori campagne e canepali lascia all'opposta sponda destra verso Faule nude ghiare e siti di pochissimo e quasi niun reddito e valore ... (omissis) con essersi per causa de' molti risvolti e seni reso così tortuoso che rendesi assai più lunga e difficile la navigazione tanto nella discesa che nella rimonta delle navi ed il Po a vece di occupare solo giornate 50 di terreno ne occupa 150 togliendo così il sovrappiù all'agricoltura (omissis) ..."

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