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Descrizione

L'altra realtà produttiva presente a Pancalieri era la cascina, azienda agricola a gestione individuale caratterizzata dal campo chiuso (recintato con fossati, siepi, alberate). Essa sorgeva isolata al centro della propria terra che aveva colonizzato e ricomposto in unità produttiva attraverso notevoli investimenti di capitali in edifici, strade, bialere, trasporti di terra e così via.
Nel "catasto rosso" del 1582 si parlava già della cascina della Motta composta di circa 120 giornate (51 feudali e 69 allodiali). La Misura Generale del 1700 elencava 12 cascine: 3 borghe (Del Piaz, Porto, Giannotti di Torino), 3 del Marchese di Pancalieri, 2 di altri nobili (conti Pertengo e Trana), 4 di ecclesiastici (Priore Balegno, Monache clarisse, Pievania, Commenda di S. Maria della Plebe dell'Ordine di malta). Si trattava per lo più di beni posseduti a titolo Feudale, o pretesi tali in genere non registrati a catasto o non allibrati. Per determinare il reddito dominicale dei terreni di tali cascine si condusse un'indagine particolare interrogando i "massari".
La loro attività produttiva pur svolgendosi nel territorio della comunità, sfuggiva infatti completamente al suo controllo. L'equilibrio tra agricoltora ed allevamento veniva trovato all'interno della singola azienda agricola che produceva sia per l'autoconsumo (Quota colonica) che per il mercato (quota dominicale) grazie alla concentrazione dei fattori produttivi (capitale e lavoro) che in essa si realizzava.
La cascina detta La MOTTA appartenente al signor Del Piaz (borghese di Torino) si componeva, secondo il massaro interrogato che vi lavorava da oltre 50 anni, di 55 giornate di campo e 22 di prato stabile irriguo. Il campo era coltivato in rotazione triennale, "li beni si seminavano a vicenda d'anni tre, due e l'altro resta a coltura de' beni" metà a frumento e metà a barbariato (mistura frumento e segala). Si seminavano 3:4 emine di grano per giornata che davano una produzione, "fatta una comune degli anni fertili con li mediocri e sterili" di emine 18:1 per giornata con un rapporto seme/prodotto di 1 a 5.
L'anno, sui 3, in cui il campo rimaneva a riposo "per coltura dei beni", cioè rimaneva a "maggese", si seminavano in primavera i "marzaschi" e soprattutto la canapa ("maggese vestito"). Se ne seminavano annualmente 12 giornate e se ne raccoglievano rubbi 37,5 per giornata.
I patti colonici prevedevano che il "massaro" anticipasse la semente dei grani mentre il raccolto si divideva a metà. La quota dominicale sulla produzione di canapa era invece di 1/3. Il "massaro" pagava al proprietario fondiario un fitto di 10 lire all'anno per giornata di prato stabile (220 lire)
La cascina detta "CASSINETTA" di "monsù" Porro (borghese, secondo il "massaro" intervistato, si componeva di terreni aratori di "terza bontà". Una giornata a grano, seminata con 3 emine, rendeva mediamente emine 22,5, con un rapporto seme/prodotto di 1 a 7,5. I campi situati al "Rionazzo", in una zona soggetta a nebbie, classificati come i peggiori del territorio, rendevano invece appena 4 emine per giornata (1 a 1,3).
Il Marchese di Pancalieri possedeva 3 cascine. Il "massaro" della prima cascina dichiarava che "facendo una comune dei beni migliori con li mediocri e infini et quelli di coltura con li restroby (stoppie)", una giornata seminata con 3 emine di frumento o barbariato poteva rendere 20 emine "metà frumento e metà barbariato", con un rapporto seme / prodotto di 1 a 6,6. La resa della canapa seminata era di rubbi 20 per giornata. La rotazione era triennale e i patti colonici identici ai precedenti. Il fitto del prato (12 giornate) era di 16:12 lire per giornata.
La cascina del conte di Pertengo, secondo il "massaro", rendeva mediamente per giornata 20 emine, metà frumento e metà barbariato con un rapporto seme/prodotto di 1 a 6,6. In canapa rubbi 25 per giornata di buona qualità e 17,5 se di qualità inferiore. I prati, classificabili di "seconda bontà", rendevano 3 carri di fieno per giornata, mentre il massaro dichiarava che gli altri prati di Pancalieri potevano dare 4 carra in 3 tagli ("maggiengo, resia e terzuollo). Il massaro dichiarava inoltre di praticare una rotazione biennale, "semino un anno si e l'altro no di grano per esservi quantità de' beni". I patti colonici erano come i precedenti.
Il massaro della cascina del Conte Tana, situata nella regione di Castel Reynero (feudo rustico) dichiarava che i campi migliori rendevano emine 25 di grano per giornata (8,3 di prodotto per 1 di seme), altri "di poco più inferiori" 17:2 emine (5,8 di prodotto per 1 di seme) e i più "infimi" 15 emine (5 di prodotto per 1 di seme). In canapa, secondo la bontà dei campi, 22,5 oppure 20 oppure 15 rubbi per giornata. Il fitto dei prati era di 10 lire per giornata, la rotazione triennale, i patti colonici come sopra.
Il massaro della cascina Giannotti, in servizio da 20 anni, riferiva che la maggior parte dei terreni erano di "infima bontà" lontani dal borgo e poco distanti dal torrente Pellice "che cagiona freddo ai beni" per cui non rendevano mediamente più di 9 emine di grano per giornata (3 di prodotto per 1 seme). La maggior parte dei terreni erano gerbidi e sterili. Si usava la rotazione biennale, seminando nell'anno a riposo ceci, fagioli e altri "marzaschi", ma soprattutto canapa con una resa media di 17,5 rubbi per giornata. Per le 17 giornate di prato pagava in affitto doppie 15.
Il massaro del priore Balegno dichiarava di coltivare soltanto alcuni campi di "terza bontà" che si seminavano a grano in rotazione biennale, con una resa di 15 emine per giornata (5 di prodotto per 1 di seme). Nell'anno a maggese non si seminava per essere il terreno "vivo arrenoso". Per i prati, "dei più infimi e lontani dal borgo", pagava 3 lire di affitto.
La cascina delle monache dell'Ordine di S. Francesco (clarisse), secondo le dichiarazioni del "massaro", rendeva per giornata mediamente 20 emine, metà grano e metà barbariato con un rapporto seme/prodotto di 1 a 5,7, perchè seminava emine 3,5 per giornata, anzichè 3 (come nei casi precedenti). La resa in canapa era di 25 rubbi, la rotazione triennale. Nei beni vi erano "12 gritie" di viti che producevano solo 2 "arbiate" d'uva. Gli alteni delle cascine erano andati completamente distrutti tra il 1690-95 nel corso della guerra della Lega di Augusta.
La cascina della Pievania, ossia della Parrocchia, secondo il "massaro", erano per lo più composti di "terreni vivi" e neppure dei migliori. Essi rendevano 20 emine di grano per giornata con un rapporto seme/prodotto di 1 a 5,7. La rotazione era biennale. Il maggese era "vestito" con pochi "marzaschi". Prima delle devastazioni belliche vi erano 15 filari di viti che rendevano 3 carra di vino (30 brente ogni anno).
Il massaro della cascina della Commenda dell'Ordine di Malta, dichiarava che la maggior parte dei beni erano di infima qualità e rendevano emine 15 di grano per giornata (3,75 di prodotto per 1 di seme, poichè seminava 4 emine per giornata). La parte restante era costituita di campi di "seconda bontà" con una resa media di 20 emine per giornata (5 di prodotto per 1 di seme). La rotazione era biennale. La canapa seminata in 6 giornate rendeva rubbi 20 per giornata. Il fitto del prato era di 12 lire per giornata.
La redditività media delle cascine sembra in genere superare la media del territorio indicata per le diverse classi di terreno. La concentrazione della proprietà che rendeva possibile una più efficiente combinazione tecnica dei fattori produttivi era indubbiamente all'origine della maggiore produttività.
Poichè i rapporti di produzione erano regolati sulla base del contratto mezzadrile, metà della produzione era destinata alla vendita sul mercato (parte dominicale) rimanendo l'altra metà a soddisfare le esigenze di sussistenza della famiglia contadina.
La cascina, nel processo di transizione dall'economia di autoconsumo a quella di mercato, si poneva quindi come uno strumento di accelerazione. Via via che la struttura produttiva comunitaria veniva in contatto con il mercato si sgretolavano le impalcature della gestione comune della terra e veniva affermandosi l'individualismo agrario, anche all'interno della comunità, attraverso il radicarsi della piccola proprietà contadina.


Foto

Cascine e cascinali



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