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Territorio e produzione agricola
Territorio e produzione agricola
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Descrizione
La comunità di Pancalieri è tipica del paesaggio agrario pianeggiante compreso tra Torino e Cuneo. Dino Gribaudi, riferendosi a tale regione scriveva: "... La bassa è l'area del Piemonte più aperta al progresso agricolo, più docile nel piegarsi a nuove esigenze economiche, a nuovi procedimenti tecnici".In effetti, se si bada alle condizioni pedologiche della pianura essa risulta costituita in prevalenza da "suoli privi di limitazioni, adatti per un'ampia scelta di
colture agrarie (erbacee, arboree) - molto fertili - molto produttivi e adatti ad una coltivazione intensiva ...". Proprio in quest'area si incontrano i cosiddetti "terreni morti", sabbiosi a tinte scure, umiferi, particolarmente feraci (tanto che la tradizione orale sostiene non abbisognino di concimazione) nei quali la coltura della canapa ha trovato nei secoli scorsi una perfetta acclimatazione.
Questi ed altri fattori fisici (il clima, per esempio, idoneo a molti tipi di agricoltura) che contribuiscono a definire il paesaggio agrario della pianura, offrono una larga possibilità di scelta tra i diversi tipi di coltivazioni.
Nei secoli considerati la superficie agraria utile (S.A.U.) della comunità si aggirava sulle 3500 giornate (tab. 2) circa 1330 ettari. Nelle rilevazioni catastali comunali, anteriori alla "Misura Generale" settecentesca fatta eseguire dallo Stato per la perequazione fiscale, tale superficie risultava inferiore per circa 1000 giornate che rappresentavano la proprietà immune (feudale, ecclesiastica), non registrata.
La discrepanza di circa 100 giornate tra la "Misura Generale" del 1700 e quella del 1763 (catasto geometrico particellare con mappa), nasce forse dal recupero di terreni per il taglio del fiume Po eseguito negli anni '50.
La Statistica Generale del 1754 concorda con la Misura del 1763.
La produzione agricola era costituita da cereali (grano e "barbariato"), uva per vinificazione, foraggio (fieno maggengo e agostano), "marzaschi", cioè colture primaverili tra cui la canapa, ortaglie. Il bosco ceduo forniva legna da ardere, palificate (salici) per gli alteni, legno per costruzione (rovere, noce ecc . . .).
La "Misura generale" del 1700 offre indicazioni utili per definire la struttura produttiva agricola della comunità. Si può pertanto sostenere che coesistevano due diverse forme di sfruttamento della terra: collettiva (comunità di villaggio) e individuale (cascina).
La forma collettiva di sfruttamento della terra risale al Basso Medioevo. Caratterizzata dall'insediamento agglomerato (villaggio) si basava sul sistema della terra comune e del campo aperto (cioè non recintato) in cui le singole particelle possedute dai particolari erano frammiste con quelle di vicini e spezzate in molti appezzamenti sparsi nella campagna. Gli "ordinati" di Pancalieri testimoniano in vari momenti la persistenza del campo aperto e l'uso delle terre comuni.
Nel 1597, si denunciavano ad esempio i forestieri che andavano "messonar (spigolare) nelle possessioni di quelli del luogo, atteso che levavano quello che spetta(va) ai poveri)".
Nel 1629 si vietava ai pastori di condurre pecore "pasturare sovra li beni pascoli della comunità e particolari, atteso che dove vanno le pecore le bestie bovine non puonno più pascolare".
Nel 1632 l'affittuario dei beni del Marchese di Pancalieri aveva fatto venire nelle cascine un pastore con molti ovini e bovini che pascolavano quotidianamente nei pascoli comuni e incolti della comunità "con gravissimo danno delli particolari atteso che sogiornando nel presente luogo, li particolari non ritroveranno ove possimo far pascolare li bestiami loro".
Il Consiglio stabiliva con un "bando" di osservare le consuete convenzioni per cui il "pastore non (poteva) pascolare nelli beni comuni, meno de' particolari e che i particolari non (andassero) pascolare nei beni del marchese".
Le terre comuni consistevano nei pascoli, nel bosco lottizzato fra i "particolari registranti" perchè potessero "con maggior comodità sovenirsi ne' bisogni loro", nei "nasatoi" o maceratoi della canapa, anche questi concessi ai "particolari" in proporzione alla loro proprietà registata a Catasto.
La data del raccolto era stabilita nel corso di una riunione consigliare per cui il singolo "particolare" non poteva vendemmiare il proprio alteno o tagliare le proprie messi o la canapa senza la "licenza" del Consiglio.
Il persistere di tali usi suggerisce che anche la scelta delle colture da praticarsi nei singoli appezzamenti non doveva essere libera ma regolata tradizionalmente per le necessità di conservare l'equilibrio fondamentale tra il nutrimento degli uomini e l'alimentazione degli animali. Infatti ogni estensione dell'arativo sotto la spinta di una accresciuta domanda comportava da un lato una maggiore disponibilità di bestiame per il traino e la concimazione e dall'altro la diminuzione dei pascoli o del prato. Si usavano pertanto i campi arati come pascolo dopo il raccolto e nell'anno di riposo a maggese. L'intera comunità si configurava allora come una grande azienda agricola in cui il complesso tecnico uomo-bestiame-aratro era usato in comune e in cui la produzione era destinata principalmente all'autoconsumo.
Tuttavia il diffondersi dell'economia di mercato rendeva via via obsoleto questo modo di produrre. Infatti nel momento in cui era possibile trovare sui mercati limitrofi (Carmagnola, Carignano, Saluzzo, Moncalieri, Torino) il fieno o il grano mancanti pagandoli con il denaro proveniente dalla vendita della canapa, delle ortaglie, delle sete i vincoli comunitari si svuotavano di significato ed aveva inizio un graduale processo di transizione dalla gestione collettiva della terra a quella individuale, da una agricoltura di tipo estensivo ad una intensiva e specializzata, Nei secoli considerati questo processo di transizione era ormai in atto a Pancalieri, ostacolato soltanto dalle guerre o dalle epidemie che con il blocco degli scambi e le requisizioni restituivano importanza alla produzione per l'autoconsumo.
Nella prima metà del Settecento il pascolo comune scese dal 4% della S.A.U. al 2,5%, mentre i boschi ed i maceratoi (nasatoi) comuni concessi in uso ai "particolari" furono usucapiti nel corso del secolo e divennero oggetto di contrattazione privata.
La "Misura Generale" del 1700 consente inoltre di valutare i livelli medi ("comune di 10 anni in tempo di pace") raggiunti dalla redditività della terra. Essi si riferiscono ad una classificazione dei suoli locali fatta in funzione della rispettiva fertilità ("bontà"): "tante distinzioni di bontà quante si giudicheranno convenienti alla diversità del frutto maggiore o minore".
Ne risultava che i campi di "prima bontà" (638 giornate, che erano di primo allibramento catastale, cioè di prima classe d'estimo) rendevano mediamente in grano ogni anno per 2 anni su 3 (rotazione triennale) 20 emine per giornata con un rapporto seme/prodotto di 1 a 6,6 (fatta pari a 3 emine per giornata la semente impiegata). I campi con viti (alteni, 79 giornate) rendevano 16 emine per giornata (5,3 di prodotto per 1 seme).
Sul terreno a riposo (maggese) si seminavano, in primavera, i "marzaschi" cioè ceci, fagioli, avena, ma soprattutto canapa che dava una produzione media di 25 rubbi per giornata.
I campi di "seconda bontà" (606 giornate) rendevano mediamente 16 emine di frumento per giornata, quelli con viti (111 giornate) 12 emine per giornata. In canapa da 17,5 a 20 rubbi per giornata. I campi di "terza bontà" (341 giornate) rendevano 12 emine di barbariato, quelli di quarta (28 giornate) 8 emine. I campi di terza con viti (giornate 24), 8 emine di barbariato, i campi di quinta (30 giornate) 4 emine di segale.
Gli alteni erano andati per buona parte distrutti tra gli anni 1690-95 durante la guerra per la Lega di Augusta. Prima della guerra quelli di "prima bontà" (79 giornate) rendevano 14 brente di vino per giornata; quelli di seconda (111 giornate) 10 brente; quelli di terza (24 giornate), 8 brente. Al momento della misurazione ne rimanevano appena 80 giornate che tuttavia rendevano mediamente 10 brente per giornata.
I prati di "prima bontà" (379 giornate) rendevano mediamente 200 rubbi (circa 20 quintali) di fieno per giornata in 3 tagli (100 erano di "maggengo", 66 di "resigo" e 34 di "terzuolo").
I prati di seconda (305 giornate) rendevano 160 rubbi (15 quintali circa) quelli di terza (53 giornate) 80 rubbi, quelli di quarta (8 giornate) 60 rubbi.
Poichè si trattava di prati stabili irrigui la loro classificazione dipendeva dalla maggiore o minore disponibilità di acqua. I prati di seconda e delle successive bontà non potevano disporre dell'acqua "continuamente quando (c'era) il bisogno, ma solo ore 24 per settimana tra tutti". Inoltre l'acqua era particolarmente fredda perchè di risorgiva (Angiale).
In tali condizioni erano possibili soltanto 2 tagli che rendevano mediamente 66 rubbi di fieno, quello "maggengo" e 66 quello agostano. Anche il bosco e le piante di gelsi furono notevolmente devastati durante la guerra. Al tempo della "Misurazione" vi erano salici appena sufficienti per le palificate degli alteni.
Sui terreni di migliore qualità (prima, seconda e terza) si praticava la rotazione triennale, 2 anni a cereali (metà frumento e metà barbariato e segala) e uno a riposo ("maggese") con la semina primaverile dei "marzaschi e in specie canapa". Sui rimanenti la rotazione biennale, primo anno a barbariato o segala, secondo a riposo.
I terreni di migliore qualità erano definiti nel linguaggio comune "terreni morti". Erano terre basse, alluvionali "state ne' tempi addietro invase e dominate et indi abbandonate dal fiume Po ed impinguate nell'abbandono dal deposito del suo limo e fango". Si trattava di terre dotate di una fertilità, suscettibili quindi, anche in mancanza di una adeguata concimazione, di uno sfruttamento più intensivo. Su di esse la canapa aveva trovato assai presto una perfetta acclimatazione, ed entrando in rotazione continua con i cereali aveva consentito il superamento del "maggese" come vuoto produttivo. Analogamente le altre colture primaverili di leguminose ed anche di avena. Si formavano in tal modo delle eccedenze produttive (canapa, prodotti dell'orto), rispetto alle esigenze di autoconsumo, che trovavano uno sbocco sui vicini mercati (in specie Carmagnola).
L'avena consentiva inoltre di mantenere i cavalli che non erano tanto impiegati in agricoltura per il lavoro di campi (si usavamo i buoi e "vache tiròire"), quanto per il trasporto ("cavalli e carretta") ai mercati delle derrate eccedenti il consumo locale.Il contatto con il mercato favoriva lo sviluppo della gelsicoltura per l'allevamento del baco da seta. La redditività dei terreni di inferiore qualità ("terreni vivi", argillosi) che costituivano la parte rimanente della S.A.U. del territorio di Pancalieri dipendeva invece totalmente dalla disponibilità di concime e quindi dall'allevamento e quindi dall'estensione del prato e del pascolo, cioè dalla suddivisione della predetta superficie tra le colture cerealicole e foraggere.
Alla fine del Seicento entrambi tali colture erano divenute insufficienti a sostenere le esigenze dell'autoconsumo che trovavano tuttavia soddisfazione nei prodotti delle colture primaverili (piselli, fagioli, ceci, ecc...) ed attraverso la vendita sul mercato dell'eccedente produzione di canapa, prodotti dell'orto e della seta.
Poichè la pressione demografica alla fine del Seicento non aveva ancora recuperato completamente il livello raggiunto anteriormente al 1630, si presume che la struttura produttiva agricola della comunità fosse sostanzialmente la stessa già prima della grande pandemia e della guerra. Infatti una produzione orientata esclusivamente all'autoconsumo non avrebbe potuto sostenere quel livello demografico.
D'altro canto, la presenza di un "battitore da canapa" (mulino) di proprietà feudale e precisi riferimenti all'esistenza di maceratoi e del prato stabile irriguo anteriormente al XV secolo, fanno risalire al Basso Medioevo l'inizio del processo di transizione verso la specializzazione produttiva per la vendita sul mercato.
L'elevata fertilità "naturale" di una parte della S.A.U. della comunità di Pancalieri avrebbe quindi reso materialmente possibile la precoce emancipazione dal sistema stagnante di produzione per l'autoconsumo, orientando progressivamente la struttura produttiva verso l'ordinamento colturale specializzato che trovava il suo sbocco e il suo stimolo nella domanda di mercato. La canapa era infatti un bene di largo consumo, utilizzata nell'abbigliamento, nel corredo domestico, in agricoltura (sacchi, corde), nell'esercito (tende, corde), nella marina (vele, corde). La canapa di Pancalieri, come quella della pianura circostante, trovava uno sbocco soprattutto sul mercato di Carmagnola ove confluivano mercanti genovesi che acquistavano in proprio o per la Francia.
La canapa piemontese era infatti particolarmente richiesta da veneziani e francesi. In occasione di guerre la domanda di tale bene tendeva a crescere. La domanda di prodotti orticoli era legata invece allo sviluppo di cittadine di provincia come Pinerolo, Saluzzo, Savigliano, Carmagnola in quanto sede di presidi militari, di uffici pubblici (giudicature, intendenze, tappe di insinuazione) in cui si formava una classe media di funzionari, soldati, mercanti, tecnici, staccata dalla terra. La seta trovava un sicuro sbocco nella vicina Racconigi ove veniva torta nei moderni filatoi per produrre gli "organzini" destinati all'esportazione.
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