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Il Feudo di Pancalieri
Il Feudo di Pancalieri
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Descrizione
La comunità di Pancalieri è situata nell'area pianeggiante formata dagli affluenti del Po cuneesi, saluzzesi, pinerolesi che da Cuneo tende a Torino.
In epoca feudale appartenne ad Arduino il Glabro, ai Romagnano, ai Del Vasto, ai Marchesi di Saluzzo e finalmente pervenne per conquista ai Savoia Acaja nel 1410. Ludovico, ultimo della linea Acaja Morea, il 14 febbraio 1416 ne investì il figlio naturale Ludovico, detto il bastardo di Acaja, capostipite dei signori di Racconigi. Tuttavia, estintasi anche questa linea con Bernardino nel 1605, il feudo passò per devoluzione a Carlo Emanuele I di Savoia che ritenne conveniente alienarlo a Cesare De la Rivoire, il 12 gennaio 1609.
Con atto del 19 luglio 1616, Pancalieri venne nuovamente alienata ed infeudata ai De Genève, marchesi di Lullino, per il prezzo di ducatoni 65.000 col titolo di marchesato e la piena disponibilità, fatto salvo in perpetuo il diritto di riscatto da parte sabauda mediante il rimborso di detta somma aumentata di 10.000 ducatoni.
Quindi, per successione ereditaria, pervenne a Maria De Genève (la Marchesa di Pancalieri), moglie di Carlo Francesco Valperga conte di Masino, dama d'onore di "Madama Reale", Maria Giovanna Battista di Savoia Nemours. La Marchesa, con testamento del 16 ottobre 1675, lasciò erede universale delle sue sostanze "Madama Reale" o in sostituzione il figlio Vittorio Amedeo II o ancora l'Ufficio Pio eretto dalla Compagnia di S. Paolo. Il feudo fu in tal modo recuperato al patrimonio ducale ed immediatamente rimesso in vendita, mediante pubblica licitazione. Assegnato al miglior offerente, Turinetti Ercole Giuseppe marchese di Priero, del fu Giorgio già Primo Presidente e Capo delle Regie Finanze, con atto di costituzione di possesso del 26 luglio 1681, questi si impegnò a riscattare il diritto ereditario della Compagnia di S. Paolo, valutato in 30.000 doppie di Spagna, pari a £. 300.000 d'argento.
Con l'atto del 1616, Carlo Emanuele I aveva alienato ai De Genève anche una parte del tasso ducale in modo da creare una rendita feudale annua di 3.250 ducatoni, corrispondente ad un tasso di remunerazione dal capitale investito del 5%, la quota di tasso alienata era pari ad 1/3 (scudi d'oro del sole 202:16:5) del contingente assegnato alla comunità.
La vastità dei diritti e dei redditi che furono alienati in tali infeudazioni risulta con chiarezza dall'atto conclusivo stipulato con il Turinetti nel 1689.
Vi si legge che veniva dato in feudo il luogo e territorio di Pancalieri, "villa e castello" con le case da esso dipendenti feudalmente, una quota parte del tasso ducale, il titolo e la dignità marchionale, il "mero e misto impero e la total giurisdizione" (prima e seconda cognizione delle cause penali, civili e miste), il diritto di ricevere omaggio.
Il possesso dei beni feudali, tra cui cascine, orti e giardini, "boschi e gorreti, giare, giacy, alvei, boschi, aquagi" dei fiumi Po e Pellice, inoltre forni, mulini, torchio da olio, battitore da canapa, il possesso delle "bealere" e di ogni altra ragione d'acqua. Il monopolio dell'acqua dava al feudatario il diritto di concedere o rifiutare derivazioni sia per gli usi agricoli che per la costruzione di mulini e di altri edifici idraulici condizionando in tal modo lo sviluppo economico del luogo:
Venivano inoltre ceduti i diritti minuti feudali in natura ed in denaro comprendenti fitti minuti, pedaggi su terra e su acqua, transito ai porti del Po e Pellice, le lingue dei vitelli macellati, il diritto di caccia e pesca, decime, diritti ed emolumenti delle segreterie delle cause civili e penali. Il "jus patronato" di benefici e della Pievania di Pancalieri e tutti quei diritti che avrebbero potuto spettare al Duca su "laudemi, terze vendite, terre culte e inculte, nomina agli uffici, camparie" e così via.
Dal punto di vista della finanza pubblica la vendita di un feudo si giustificava per essere troppo oneroso e di difficile riscossione il reddito che esso dava, consistente per lo più, come si è visto, in fitti minuti.
Dal punto di vista economico essa tendeva a cristallizzare, anzichè rimuovere, quegli ostacoli che le strutture ed i rapporti feudali frapponevano agli investimenti produttivi (vedi monopolio delle acque, pedaggi, ecc ...) favorendo in tal modo il persistere delle resistenze allo sviluppo dell'economia monetaria e della borghesia, il persistere in ultima analisi della stagnazione economica.
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