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Descrizione

Nacque a Pancalieri nell'anno 1811, filosofo, fu il personaggio più famoso della famiglia Bertini.
Gian Maria fu il più grande ingegno uscito dalle scuole di Carmagnola. Suo padre si chiamava Giovanni Battista e la madre Rosa Ruscazio, entrambi nati in Pancalieri e di famiglia benestante. E' probabile che questi Bertini fossero imparentati con quelli di Carmagnola; comunque Giambattista trasferì la famiglia in Carmagnola e quivi Gian Maria frequentò le scuole elementari ed il liceo. Laureatosi in lettere a Torino nel 1839, l'anno successivo venne mandato dal Magistrato della Riforma ad insegnare rettorica a Carmagnola.
Nel maggio del 1846, su invito dello stesso magistrato, si presentò all'esame ed ottenne la "aggregazione" (equivalente alla libera docenza) alla facoltà di lettere e filosofia, presentando due tesi (una sui misteri elusini e l'altra sul "Gorgia" di Platone) che - scrive un autore dell'epoca - furono un avvenimento per quei tempi.
Nello stesso anno fu destinato a sostituire il Rayneri nel liceo di Carmagnola. Nel 1847 fu chiamato ad inaugurare la cattedra di storia della filosofia, istituitasi in quell'anno all'Università di Torino. La nomina a tale catedra venne salutata con plauso generale ed il Gioberti scrisse che essa "onorava meno chi ne era oggetto che chi la faceva".
Il Bertini resse tale cattedra per tutta la vita e, temporaneamente nel 1848, anche quella di filosofia teoretica nella stessa Università; fu collaboratore assiduo della "Rivista filologica" e de "La filosofia nelle scuole italiane"; fu membro del Consiglio Superiore della pubblica istruzione, membro dell'Accademia delle Scienze; partecipò col suo maestro a tutte le riforme successive in quel periodo di tempo in Piemonte; fu anche, sebbene per breve tempo (23 gennaio - 16 luglio 1849) rappresentante di Carmagnola al Parlamento Subalpino.
Il continuo studio e la costante ricerca indebolirono la sua già debole e mal ferma salute sì che egli incominciò a perdere, quasi interamente, la vista e poi a poco a poco le forze, che lo abbandonarono completamente il 13 ottobre 1876, a soli 58 anni.
Fin da quando era studente si distinse all'Università come uno dei più colti ed intelligenti studiosi di filosofia, tanto che il Berti scrisse che "i coetanei guardarono ben presto a lui come a loro maestro".
Fu uno dei più assidui frequentatori dei corsi del professor Ornato, e ne assorbì il pensiero filosofico e lo slancio patriottico. Sotto il suo sprone, imparò il tedesco e l'inglese così approfonditamente che "riusciva a leggere tali lingue correntemente senza aiuto dei dizionari, cosa rarissima per quei tempi".
Ma l'attività principe della sua vita fu la ricerca filosofica speculativa e molte sue idee e concetti vennero espressi ora in articoli ora in saggi, fra cui si possono ricordare la "Nuova interpretazione delle idee platoniche" (1876), "Idee d'una filosofia della vita" (1850); pubblicò poi opere diverse su argomenti religiosi e sui rapporti fra Stato e Chiesa e numerosi trattati sull'istruzione, primaria e secondaria, e sulle necessarie riforme.
Di lui autori contemporanei dissero che "effettuò in sè la più bella immagine del filosofo che Platone ci abbia descritto nei suoi immortali dialoghi" (Capello) e che "fu uno degli ingegni più vigorosi ed una delle anime più belle e nobili che il Piemonte abbia dato all'Italia nel secolo XIX" (Cantoni).
Carmagnola, che lo aveva già eletto suo deputato, gli dedicò un busto nel Liceo, opera dello scultore carmagnolese Antonio Tortone; la epigrafe fu dettata dal professor Capello.
Il filosofo ebbe un fratello, l'avv. Girolamo, riformatore delle scuole carmagnolesi nel biennio 1850-51. L'avvocato Ottavio, figlio di Lodovico Bertini e Barbara Viglione, fu pretore in Carmagnola nel 1909.
I Bertini consegnarono la loro arma nel 1687: "d'azzurro alla banda d'oro profilata d'argento ed accompagnata da tre stelle d'oro per parte"; cimiero: l'aquila posata; motto: TURPIA SPERNIT. Tale arma si vede ancora scolpita in un banco della Chiesa di Sant'Agostino.



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